La RU486 o pillola del mese dopo, detta anche il pesticida umano1
E` una compressa contenente mifepristone, una molecola messa a punto nel 1980 dalla società Roussel-Uclaf, controllata dal governo francese e dal gruppo tedesco Hoechst e sponsorizzata nelle sperimentazioni dall'OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità). La commercializzazione è operata dalla Exelgyn, a partire da fine 2000.In Italia, dopo il parere favorevole dell'AIFA (26.02.2008), alcune sperimentazioni e vari rimpalli la pillola entra in commercio alla fine del 2009.
La sigla RU486 deriva dall'azienda che ha inventato la molecola (Roussel-Uclaf) unito al codice della molecola 38486, poi sintetizzato per ragioni commerciali in 486.
Inizialmente la sua somministrazione era stata limitata entro il 49° giorno di gestazione (fine 7.a settimana, età gestazionale 6w+6) e solo in struttura ospedaliera autorizzata dalla Regione. Il ministero della salute il 12.08.2020 ha emanato una circolare con nuove linee guida peggiorative in quanto autorizzano l'utilizzo del metodo farmacologico fino al 63° giorno di gestazione (fine 9.a settimana, età gestazionale 8w+6) anche in strutture ambulatoriali pubbliche adeguatamente attrezzate, funzionalmente collegate all’ospedale ed autorizzate dalla Regione, nonché consultori, oppure day hospital.
La somministrazione di questo preparato provoca un aborto. Tecnicamente la RU486 è un contragestativo, cioè manifesta la sua azione abortiva quando l’embrione è già annidato nell'utero.
Non va confusa, dunque, con le pillole del giorno dopo che sono degli intercettivi ossia intercettano l'embrione mentre viaggia dalla tuba verso l'utero e ne impediscono l'annidamento.
Come appare un bambino all'ottava settimana di gestazione
Alla donna vengono date di solito due pillole: la prima contiene il mifepristone e viene assunta entro il 63° giorno dall’ultimo ciclo mestruale (entro cioè la 9ª settimana di gestazione), mentre la seconda è il misoprostol e viene presa tre giorni dopo.
Nelle 24 ore successive all’assunzione della prima compressa, il 3% delle donne espelle l’embrione. Il restante 97% deve ritornare in ospedale per prendere la seconda pillola: il misoprostol.
Dopo di che la donna torna a casa e aspetta che, nell'arco di al massimo 14-15 giorni, salvo complicazioni, il misoprostol faccia effetto: questa sostanza inducendo le contrazioni permette, in più riprese, l’espulsione del sacco amniotico con l’embrione dentro, già morto.
Il 56% delle donne, prese dall’apprensione di controllare che l’emorragia non sia troppo consistente, riconoscono o credono di riconoscere nell’assorbente l’embrione abortito, con le conseguenze psicologiche che possiamo immaginare.
A questo punto però non si può più tornare indietro.
La solitudine e l’ansia non sono però le uniche variabili con cui la donna deve fare i conti; in realtà, ad esse sono correlate un numero spropositato di probabili sintomatologie fisiche: nausea (61% dei casi), perdite consistenti di sangue, dolori addominali e crampi, mal di testa, ecc...
Entro 14-15 giorni, la donna deve sottoporsi a una terza visita ginecologica per controllare che l’utero sia effettivamente vuoto e che tutto sia andato secondo previsione.
Nel 92-95 % dei casi l’aborto è avvenuto, mentre il restante 5-8 % delle donne è costretto a sottoporsi ad un nuovo aborto mediante il metodo chirurgico per eliminare definitivamente l’embrione.
Alcuni centri pro-life negli Stati Uniti propongono, alle donne che hanno assunto la prima pillola (mifepristone) e che si sono pentite della scelta, di assumere progesterone, una procedura non prevista dalla FDA ma che si ritiene possa, se applicata entro 24 ore, contrastare l'effetto della pillola e salvare il bambino. Per quel che ne sappiamo in Italia tale possibilità non viene mai proposta e non è documentata. Maggiori informazioni qui.
Secondo tutti i protocolli - e come si ricava anche dalle brevi note qui sopra - l'aborto farmacologico e' più doloroso di quello chirurgico, ha un tasso di rischio più alto, ha una percentuale di efficacia minore ed e' molto più lungo (l'intera procedura richiede 15 giorni e almeno 3 visite).
Ma l'inganno maggiore è che dopo aver dichiarato per decenni che bisognava sconfiggere l'aborto clandestino delle donne sfruttate e maltrattate organizzando l'aborto in strutture pubbliche ora improvvisamente tale teoria non vale più: la donna si arrangi da sola e nel bagno di casa sua. Si chiacchiera molto di violenza sulle donne ma, evidentemente, questa non è considerata violenza.
Questo sito non ha ambizione di presentare tutti i dettagli scientifici e fornisce soltanto una sintesi delle questioni per dare alle donne una base di partenza per farsi delle domande e difendersi. Per coloro che fossero interessate a una spiegazione più dettagliata suggeriamo la consultazione dei seguenti documenti:
- Breve analisi ragionata sull'aborto chimico di Olimpia Tarzia, reperito sul sito del Mpv Romano (nov 2012);
- Conseguenze psicologiche dell’aborto farmacologico, conferenza della dott.ssa Simona Berardi, psicologa (29 maggio 2009), reperito sul sito della associazione Comunità Papa Giovanni XXIII;
1 La definizione "pesticida umano" è di Jérôme Jean Louis Marie Lejeune (1926-1994) che è un genetista e pediatra francese, scopritore della causa della sindrome di Down, dichiarato servo di Dio dalla Chiesa Cattolica.